L’unione civile in Italia: normativa, diritti e scioglimento

Il riconoscimento giuridico di coppie dello stesso sesso

Il 2016 rappresenta l’anno in cui l’unione tra persone dello stesso sesso trova riconoscimento giuridico e formale. La Legge Cirinnà, infatti, ha disciplinato, oltre alle convivenze di fatto (eterosessuali o omosessuali), le unioni civili ovvero il vincolo che due persone dello stesso sesso, maggiorenni, possono contrarre avanti l’ufficiale di stato civile alla presenza di due testimoni.

L’intervento normativo del 2016 rappresenta, in sintesi, il più significativo corpus di norme in materia di famiglia dopo la riforma del 1975 ed un traguardo sociologicamente importante nella storia dei diritti umani, atteso che l’unione civile tra persone dello stesso sesso viene definita “formazione sociale” ai sensi dell’art. 2 della Costituzione e quindi contesto nel quale il soggetto sviluppa la sua personalità, i cui diritti lo Stato si impegna a garantire.

Tuttavia balza agli occhi come la Legge Cirinnà definisca l’unione civile una formazione sociale, ma non la riconduca al concetto di famiglia, che viene definita dalla Costituzione come “società naturale fondata sul matrimonio” (art. 29).

Tale lacuna non è sfuggita ad illuminati giudici di merito che hanno tenuto ad eleggere le coppie formate da persone dello stesso sesso, in presenza di legami affettivi, al rango di famiglia (Trib. Minorenni Bologna 6 luglio 2017).

Che cos'è un'unione civile e in cosa si differenzia dal matrimonio? | Studio Legale Romina Anichini

Che cos’è un’unione civile e in cosa si differenzia dal matrimonio?

L’unione civile conferisce a chi la contrae gli stessi diritti e doveri riconosciuti al coniuge, ma solo tendenzialmente.

Quali diritti e doveri derivano dall’unione civile?

Al pari dei coniugi, i componenti dell’unione civile hanno reciproci obblighi di assistenza morale e materiale, l’obbligo della coabitazione, l’obbligo di contribuzione ai bisogni della famiglia in proporzione alle rispettive capacità economiche e concordano l’indirizzo da dare alla vita familiare. Tuttavia, in caso di disaccordo sull’attuazione dell’indirizzo familiare concordato, il componente dell’unione civile non ha la facoltà di ricorrere al giudice, come invece è accordato al coniuge dall’art. 144 c.c.

L’obbligo di fedeltà nell’unione civile

Un’altra differenza riguarda la mancanza, nell’unione civile, della previsione dell’obbligo di fedeltà, specificamente previsto come tale nell’ambito del matrimonio e quindi previsto solo rispetto alle coppie eterosessuali.

Tale mancanza normativa è stata interpretata negativamente come segnale del minor valore riconosciuto al vincolo giuridico tra persone dello stesso sesso, indicativa di una minore stabilità (anche giuridica) di tale unione, presuntivamente ritenuta meritevole di una tutela più blanda rispetto a quella coniugale.

In realtà la giurisprudenza di merito ha dato un’interpretazione diversa alla mancanza della previsione dell’obbligo di fedeltà nell’ambito delle unioni civili, ritenendo tale obbligo comunque inesigibile in quanto riferibile a sentimenti personalissimi ed incoercibili.

Per tale ragione l’obbligo di fedeltà – la cui inosservanza nel matrimonio dà luogo al diritto di chiedere l’addebito della separazione – non sarebbe stato previsto in caso di unione civile. È anche vero che, per le unioni civili, non è prevista la separazione e quindi sarebbe comunque assente il contesto giudiziario nel quale poter far valere l’inadempimento all’obbligo di fedeltà.

Le tutele giuridiche riconosciute alle unioni civili

La Legge Cirinnà estende alle unioni civili una serie di tutele previste in favore del coniuge.

Tra queste la possibilità per il componente dell’unione civile di chiedere un ordine di protezione al giudice nei casi in cui il partner tenga condotte lesive dell’integrità fisica o morale o alla libertà dell’altro, misura tipicamente protettiva disciplinata dall’art. 342 ter c.c.

E’ stata prevista anche l’applicazione della normativa che consente di nominare il componente dell’unione civile come amministratore di sostegno o il diritto del partner dell’unione civile di presentare istanza di nomina (e, parallelamente di revoca) per la nomina del tutore o curatore del partner, nei casi in cui ve ne siano i presupposti.

Meritano menzione le garanzie, già previste in favore del coniuge superstite, che la Legge Cirinnà riconosce in favore del partner superstite del lavoratore per il caso di morte di quest’ultimo: in tale ipotesi il partner superstite avrà diritto all’indennità dovuta dal datore di lavoro e al trattamento di fine rapporto, come pure avrà diritto di ereditare i ratei delle prestazioni maturati prima della morte dal lavoratore e non riscossi, come previsto dalla Circolare Inail n. 45/2017.

Come in caso di matrimonio, il regime patrimoniale che vige tra i componenti dell’unione civile è, di default, quello della comunione legale e quindi tutti gli acquisti fatti dopo la costituzione dell’unione civile diventano comuni. Tuttavia è possibile, con dichiarazione espressa avanti all’ufficiale di stato civile (o successivamente per mezzo di atto notarile), optare per la separazione dei beni.

In generale il comma 20 dell’art. 1 della Legge Cirinnà prevede che tutte le norme che recano le parole “coniuge”, “coniugi”, “marito” e “moglie” siano direttamente applicabili ai componenti delle unioni civili, ad eccezione delle norme del Codice civile non richiamate espressamente e ad eccezione della legge sulla adozione, di cui parleremo.

Curioso invece rilevare come i componenti dell’unione civile, a differenza dei coniugi, possano assumere un cognome comune, scegliendolo tra i loro cognomi e anteponendolo e postponendolo al proprio se diverso, con dichiarazione resa all’ufficiale di stato civile. Stessa facoltà, come noto, non è prevista in favore della moglie nel rapporto matrimoniale la quale, tutt’al più, vede aggiungere al proprio cognome quello del marito, senza possibilità di scelta.

Quali sono le principali tutele economiche e successorie nelle unioni civili?

Una novità importante della Legge Cirinnà riguarda il riconoscimento espresso dei diritti successori in favore del componente superstite dell’unione civile.

L’importanza di tale riconoscimento giuridico è ancora più evidente se si considera che rispetto alle coppie di fatto, non coniugate né unite civilmente, tale tutela successoria non è prevista. Ciò significa che, in mancanza di testamento, il convivente di fatto non vanta alcun diritto sul patrimonio ereditario del partner defunto.

In particolare sono state estese le norme sui legittimari e sulla successione legittima in favore del componente dell’unione civile e quindi il partner superstite vanta diritti “minimi” sul patrimonio del partner defunto (c.d. quota di legittima o riserva) e, in mancanza di testamento, subentra al defunto in quote stabilite dalla legge, variabili in base alla presenza o meno di altri successibili per legge (es. figli, genitori/ascendenti, fratelli).

Su questo argomento merita segnalare la questione, rimessa recentemente alle Sezioni Unite della Cassazione, relativa alla spettanza della pensione di reversibilità al partner superstite che abbia convissuto prima dell’unione civile e ai figli nati dalla gestazione per altri, il cui stato di figlio è stato riconosciuto all’estero. La Suprema Corte, nella sezione lavoro, ha ritenuto di sottoporre tale questione alla corte plenaria per le importanti implicazioni tra il tema delle tutele previdenziali della persona come singola e come parte di formazioni sociali ed il tema delle garanzie di non discriminazione della filiazione sulla maternità surrogata (Cass. sez. Lavoro 22992/2024).

Come si scioglie uníunione civile e qual Ë la procedura da seguire? | Studio Legale Romina Anichini

Come si scioglie un’unione civile e qual è la procedura da seguire?

In comune con il matrimonio, l’unione civile presenta una serie di cause di scioglimento tra cui la morte del partner (anche presunta), i casi “penalmente rilevanti” specificati dalla legge sul divorzio (richiamati dalla Legge Cirinnà).

Altri casi specifici di scioglimento dell’unione civile sono la sentenza di rettificazione di attribuzione di sesso e la volontà, disgiunta o congiunta, di sciogliere l’unione, di cui si tratterà tra poco.

Tra le cause di scioglimento dell’unione civile, significativamente, non è annoverata la separazione personale protratta per un certo tempo.

Ciò non significa che i componenti dell’unione civile non possano separarsi, scegliendo di allentare il vincolo giuridico, ma significa che la separazione non è la fase giudiziale necessaria e prodromica allo scioglimento dell’unione civile, come invece avviene nel matrimonio.

Scioglimento dell’unione civile per volontà di una o di entrambe le parti

Il comma 24 dell’art. 1 della Legge Cirinnà prevede che l’unione civile possa venire meno per volontà espressa, anche disgiuntamente dalle parti, avanti l’ufficiale di stato civile. Ciò significa che tale volontà può essere manifestata da entrambi, insieme, oppure da uno solo dei partner.

Il D.lgs. 5/2017 ha previsto espressamente che la volontà di sciogliere l’unione civile provenga da una o da entrambe le parti contestualmente, mentre si deve escludere l’ipotesi di una manifestazione differita intesa come adesione alla volontà dell’altro di sciogliere il vincolo (Trib. Novara 5 luglio 2018).

Tale intervento normativo (che ha integrato il DPR 396/2000) ha altresì previsto un ulteriore passaggio a carico del partner, consistente nella comunicazione preventiva all’altra parte, con lettera raccomandata, dell’intenzione di sciogliere l’unione.

Tale comunicazione preventiva dovrà essere preliminarmente verificata dall’ufficiale di stato civile il quale, solo dopo averne appurata la sussistenza, potrà raccogliere la volontà del partner di sciogliere l’unione e far decorrere, da tale momento, i tre mesi necessari per poi presentare la domanda di scioglimento attraverso l’instaurazione del giudizio (in forma congiunta o contenziosa) o tramite negoziazione assistita.

Tale passaggio – comunicazione preventiva all’altra parte dell’intenzione di sciogliere il vincolo e manifestazione della volontà avanti all’ufficiale di stato civile – non è tuttavia da intendersi come condizione di procedibilità della domanda giudiziale di scioglimento. Infatti, come è stato rilevato da taluni giudici di merito (Trib. Novara 5 luglio 2018), la mancanza di tale fase amministrativa è sopperita dalla dichiarazione, avanti al giudice, della volontà di non riconciliarsi e da tale momento (che coinciderà quindi con l’udienza presidenziale) potrà decorrere il trimestre all’esito del quale si potrà procedere con la pronuncia della sentenza di scioglimento dell’unione civile.

Il termine dilatorio di tre mesi assolve alla funzione di garantire alla coppia o al partner un periodo di riflessione, analogamente a quanto succede per il matrimonio, con la separazione. Diversamente si sarebbero sollevati dubbi sulla costituzionalità per la disparità di trattamento di tale disciplina rispetto a quella sullo scioglimento del matrimonio (Trib. Milano 3 giugno 2020).

Assegno divorzile e diritti economici in caso di scioglimento dell’unione civile

Il dovere di solidarietà che residua dopo lo scioglimento dell’unione giustifica l’applicazione delle stesse norme previste, per il caso di scioglimento del matrimonio, sull’assegno divorzile.

Pertanto si è formata una giurisprudenza di merito che, valorizzando le scelte legate e correlate alla vita familiare, al sacrificio di prospettive professionali di uno dei partner e considerando il conseguente divario reddituale, ha riconosciuto un contributo economico periodico al partner economicamente più debole.

Inoltre, in tali pronunce viene dato rilievo e considerato anche il periodo precedente alla costituzione dell’unione civile, quando le parti intrattenevano una “semplice” convivenza di fatto, così dando valore alla relazione affettiva nel suo complesso e non al semplice dato formale dell’ufficializzazione del rapporto (Trib. Pordenone 13 marzo 2019).

Tale orientamento ha trovato forza ulteriore nella pronuncia a sezioni unite della Suprema Corte la quale, con la sentenza n. 35969/2023, ha stabilito che in caso di scioglimento dell’unione civile, la durata del rapporto, quale criterio di valutazione dei presupposti necessari per il riconoscimento del diritto all’assegno in favore della parte che non disponga di mezzi adeguati e non sia in grado di procurarseli, si estende anche al periodo di convivenza di fatto che abbia preceduto la formalizzazione dell’unione, ancorché lo stesso si sia svolto in tutto o in parte in epoca anteriore all’entrata in vigore della Legge Cirinnà.

Scioglimento dell’unione civile per rettificazione di attribuzione di sesso

La sentenza di rettificazione di attribuzione di sesso determina la cessazione automatica dell’unione civile.

A tal proposito preme ricordare come la sentenza della Corte Costituzionale n. 170/2014 aveva statuito l’illegittimità dell’art. 31 del dlgs. 151/2011 laddove prevedeva lo scioglimento automatico del matrimonio in caso di rettificazione di sesso del coniuge senza prevedere la possibilità, in caso di richiesta dei coniugi, di mantenere la forma ufficiale del vincolo, imponendo così un divorzio automatico (cd divorzio imposto).

Il comma 27 dell’art. 1 della Legge Cirinnà consente, invece, ai coniugi, in caso di rettificazione nell’attribuzione di sesso di uno dei due, di comunicare all’ufficiale di stato civile, in sede di rettificazione anagrafica, la volontà di non sciogliere il vincolo e di consentire quindi la prosecuzione automatica del vincolo nella forma dell’unione civile tra persone dello stesso sesso.

La stessa possibilità, tuttavia, non è prevista nel caso inverso ovvero nell’ipotesi di rettificazione di sesso del componente dell’unione civile, non essendo possibile la conversione dell’unione civile, anche in presenza del consenso delle parti, in matrimonio. Tale impossibilità è stata letta come segnale del minor valore riconosciuto dal legislatore all’unione civile, rispetto al matrimonio.

Le coppie unite civilmente possono adottare un figlio? | Studio Legale Romina Anichini

Le coppie unite civilmente possono adottare un figlio?

Genitorialità e unioni civili

Tra le differenze significative rispetto ai diritti del coniuge, le unioni civile presentano soprattutto quelle in materia di filiazione e adozione.

Infatti la Legge Cirinnà esclude espressamente l’applicazione delle norme in materia di adozione alle unioni civili (l’art. 1, comma 20, della Legge n. 76/2016) e, ancor prima, la Legge 19 febbraio 2004, n. 40, sulla procreazione medicalmente assistita (PMA), ha limitato l’accesso a tali tecniche alle coppie di sesso diverso, coniugate o conviventi.

Pertanto, da una parte le coppie unite civilmente non possono accedere alla PMA in Italia ed avere, quindi, figli biologicamente propri e, dall’altra, le coppie unite civilmente non possono procedere all’adozione di un figlio se non in casi particolari.

Andiamo per gradi e per temi.

Unioni civili e procreazione medicalmente assistita (PMA)

La possibilità per i membri delle unioni civili di essere riconosciuti entrambi come genitori di un minore è limitata dall’attuale quadro normativo. Di ciò è ben consapevole il giudice delle leggi, intervenuto più volte sul tema, senza tuttavia poter far altro che constatare il vuoto normativo.

Infatti già nel 2019, la Corte Costituzionale, con la sentenza n. 221, ha dichiarato inammissibile la questione di legittimità costituzionale sollevata in merito all’accesso alla PMA per le coppie dello stesso sesso, sottolineando che spetta al legislatore colmare eventuali lacune normative.

Successivamente, con la sentenza n. 230 del 2020, ha dichiarato inammissibile la questione di legittimità costituzionale relativa alla possibilità di indicare entrambe le madri nell’atto di nascita di un bambino nato da PMA effettuata all’estero, sottolineando ulteriormente il vuoto normativo che il legislatore dovrebbe colmare.

Su queste basi, normative e giurisprudenziali, è stato ritenuto che non vi è contraddizione tra il riconoscimento del figlio risultante dall’atto di nascita formato all’estero e l’esclusione di quello derivante dal riconoscimento di figlio effettuato in Italia, poiché il nostro sistema giuridico non prevede alcuna normativa legittimante al riguardo. Per tale ragione è stato ritenuto legittimo il rifiuto dell’ufficiale di stato civile alla ricezione della dichiarazione del riconoscimento del minore come figlio naturale di due donne o comunque della donna che ha acconsentito alla fecondazione eterologa (Cass. civ. n. 8029/2020).

Nello stesso senso, molto recentemente, il Tribunale di Torino ha deciso che in assenza di una normativa specifica che consenta l’accesso alla PMA a coppie dello stesso sesso, il riconoscimento della madre non biologica è da considerarsi illegittimo. Pertanto il riconoscimento accettato dall’ufficiale di stato civile è stato ritenuto disapplicabile e le domande di regolamentazione dei diritti genitoriali avanzate dalla madre non biologica, rispetto al figlio biologico dell’ex partner, sono state rigettate (trib. Torino 1333/2023).

Stepchild adoption e diritti del partner: l’adozione del figlio dell’altro nella coppia omosessuale

Un’altra forma di genitorialità, in coppie omossessuali, è rappresentata dalla adozione del figlio biologico del partner.

La questione della stepchild adoption, precisamente, si pone quando con la coppia omosessuale convivano i figli biologici di uno dei partner, avuti da apporto esterno, da fecondazione eterologa ovvero da gestazione per altri e si viene a creare un rapporto affettivo stabile con l’altro componente della coppia, inquadrabile come genitorialità sociale.

La domanda che ci si pone è: è possibile procedere all’adozione co-parentale, ovvero consentire al partner del genitore biologico del minore di adottare quest’ultimo?

Tipologie di adozione nel sistema giuridico italiano

Preliminarmente si deve precisare che il nostro sistema giuridico conosce l’adozione legittimante e l’adozione in casi particolari.

L’adozione piena o legittimante

Riguarda minori in stato di abbandono e privi di assistenza materiale e morale dai genitori e dai parenti. Essa crea un rapporto di filiazione giuridica uguale a quello che scaturisce dalla filiazione naturale e pertanto determina rapporti di parentela tra i parenti dell’adottante e l’adottato (con correlati risvolti successori: il figlio adottivo vanterà diritti successori, oltre che verso il genitore adottivo, anche verso i suoi parenti). Nello specifico l’adozione piena o legittimante recide il rapporto giuridico del minore abbandonato con la famiglia d’origine e lo sostituisce con il rapporto con l’adottante e la sua famiglia.

L’adozione in casi particolari

L’adozione può essere chiesta da parenti entro il 6° grado quando il minore è orfano di entrambi i genitori, dal coniuge quando il minore sia figlio anche adottivo dell’altro, quando il minore sia disabile ed orfano di entrambi i genitori, quando non è possibile l’affidamento preadottivo perché non ricorre una situazione di abbandono (che darebbe luogo ad un’ipotesi di adozione piena, ciò accade ad es. quando i genitori non hanno abbandonato il minore, ma non sono in grado di crescerlo). In tal caso al rapporto del minore con la famiglia d’origine si aggiunge il rapporto con l’adottante, nel senso che non viene reciso, giuridicamente, il rapporto con la famiglia biologica.

Questo tipo di adozione determina obblighi tipicamente genitoriali, come il dovere di mantenere, educare ed istruire i figli adottati, ma, fino al 2022, non creava alcun rapporto tra l’adottante ed i parenti dell’adottato, né tra l’adottato e i parenti dell’adottante. Ciò significava che, anche ai fini successori, il rapporto rilevante restava limitato all’adottante e all’adottato con l’ulteriore limitazione che solo l’adottato avrebbe goduto dei diritti successori verso l’adottante, ma non viceversa. Pertanto questa forma di adozione non consentiva un inserimento completo del figlio adottivo nella famiglia dell’adottante.

Tale conclusione è rimasta inalterata fino al 2022 quando la Corte costituzionale ha dichiarato l’illegittimità dell’art. 55 della Legge sulle adozioni laddove richiamava l’applicazione, all’adozione in casi particolari, dell’art. 300 2° comma c.c. il quale appunto sancisce l’inesistenza di qualsiasi rapporto civile tra l’adottato ed i parenti dell’adottante e tra quest’ultimo e la famiglia dell’adottato. Tale richiamo normativo impediva giuridicamente all’adottato, in casi particolari, di inserirsi a pieno titolo nella famiglia dell’adottante, determinando un’iniqua discriminazione rispetto ai figli adottati con l’adozione piena o legittimante, pienamente equiparati ai figli legittimi e naturali.

L’adozione per le coppie omosessuali unite civilmente

Tornando al tema dell’adozione per le coppie omosessuali civilmente unite, la giurisprudenza di legittimità ha affermato che, in assenza di un legame biologico, non è possibile riconoscere la genitorialità al partner del genitore biologico nelle coppie dello stesso sesso, se non attraverso l’adozione in casi particolari (Tribunale Vicenza, sentenza n. 1600/2021; Tribunale Torino, sentenza n. 1333/2023). Dello stesso avviso è la giurisprudenza di legittimità (Cass. Civ., n. 29071/2019; SSUU n. 12193/2019) la quale è ferma nel riconoscere solo questo tipo di adozione, quindi non legittimante, quale unica forma possibile di adozione per le coppie omosessuali.

L’applicazione di questa forma di adozione per il riconoscimento della genitorialità al partner di coppie omosessuali ha suscitato dubbi di costituzionalità per la disparità di trattamento che viene a determinarsi tra il figlio adottivo di coppie eterosessuali ed il figlio adottivo del partner di genitore biologico omosessuale. Tale disparità di trattamento risulta ancora più iniqua se si pensa che il focus in queste situazioni deve restare the best interest of the child e quindi l’interesse preminente del minore ad avere la massima tutela giuridica, senza che rilevi l’orientamento sessuale dei genitori.

La Corte Costituzionale e la CEDU sul riconoscimento della genitorialità

Queste considerazioni sono alla base della pronuncia di illegittimità, dianzi citata, resa dalla Corte Costituzionale, con la sentenza n. 79 del 2022, rispetto all’art. 55 della Legge n. 184/1983, nella parte in cui non consente il riconoscimento dei rapporti civili tra l’adottato e i parenti dell’adottante.

Tale disposizione viola i principi di uguaglianza e di tutela dell’interesse del minore, sanciti dagli artt. 3 e 31, secondo comma, della Costituzione, nonché l’art. 117, primo comma, in relazione all’art. 8 della CEDU, poiché priva il minore adottato della rete di tutele personali e patrimoniali derivanti dal riconoscimento giuridico dei legami parentali, compromettendo la sua identità e il suo sviluppo in un ambiente familiare adeguato.

Vi è da aggiungere che la rilevanza del rapporto verticale tra minore e genitore sociale nell’ambito di coppie omosessuali è stata riconosciuta, in diverse occasioni, da quella giurisprudenza di merito che non è rimasta insensibile ai principi affermati dalle corti europee, tra cui la Corte europea dei diritti dell’uomo e la Corte di Strasburgo che hanno ravvisato nella negazione dell’adozione co-parentali a favore di partner di coppie omosessuali una violazione del diritto alla protezione della vita privata e familiare e del divieto di discriminazione.

Le diverse interpretazioni dei tribunali italiani

Alla luce di tali principi alcuni tribunali hanno riconosciuto la genitorialità intenzionale nelle coppie omosessuali, adottando un’interpretazione costituzionalmente orientata delle norme vigenti, e focalizzandosi sulla tutela dell’interesse preminente del minore (che è quello di avere due genitori, ancorché solo uno sia genitore biologico). La protezione di tale interesse ha pertanto indotto tali giudici di merito a riconoscere la genitorialità nel genitore non biologico che ha acconsentito alla PMA all’estero (in tal senso Trib. Vicenza 1600/2021)

Sulla stessa linea si apprezza la sentenza della Corte d’Appello di Taranto del 22 novembre 2024 la quale, con riferimento all’attribuzione del cognome del genitore adottivo omossessuale, ha fornito una interpretazione costituzionalmente orientata dell’art. 299 c.c. Tale norma, nel caso di adozione in casi particolari, determina l’attribuzione di default, attraverso l’anteposizione, del cognome del genitore adottivo al cognome del genitore biologico, ignorando tuttavia l’esistenza di accordi diversi tra i genitori.

Nel caso specifico il genitore adottivo omosessuale aveva impugnato la sentenza del Tribunale dei Minori che, oltre a disporre l’adozione in casi particolari del figlio biologico del suo partner (unica forma di adozione possibile), in applicazione dell’art. 299 c.c. aveva aggiunto il cognome del genitore adottivo a quello del genitore biologico (che lo aveva, ovviamente, riconosciuto per prima e all’estero, dato che la PMA non è possibile in Italia per le coppie omosessuali) ignorando l’accordo dei partners omosessuali di lasciare il solo cognome del genitore biologico ai figli che sin dalla nascita lo avevano assunto e che quindi da ormai quattro anni si riconoscevano in esso.

La pronuncia in questione si caratterizza per l’affermazione del principio dell’identità personale e familiare di ogni figlio e per la riaffermazione dell’unicità dello status di figlio, sia di coppie eterosessuali che omosessuali, in linea con i principi di non discriminazione.

Non si può tuttavia tacere il fatto che tali decisioni, pur illuminate, non sono uniformi e spesso contrastano con altre pronunce di merito (es. Trib. Torino n. 1333/2023), oltre che con l’orientamento attualmente prevalente della giurisprudenza di legittimità e che pertanto la genitorialità delle coppie omosessuali è ancora molto limitata rispetto a quella goduta dalle coppie eterosessuali.

Unioni civili: un riconoscimento giuridico ancora in evoluzione | Studio Legale Romina Anichini

Unioni civili: un riconoscimento giuridico ancora in evoluzione

Il riconoscimento dei diritti delle coppie omosessuali e dei loro figli rimane un tema centrale nel dibattito giuridico e sociale. Se da un lato la legislazione italiana ha fatto passi avanti con l’introduzione delle unioni civili, dall’altro resta ancora molta strada da fare per garantire una piena tutela ai minori cresciuti in queste famiglie.

Le differenze rispetto al matrimonio e le limitazioni in materia di adozione e riconoscimento della genitorialità mostrano chiaramente la necessità di un intervento legislativo più inclusivo, in grado di garantire pari diritti a tutti i minori, indipendentemente dalla composizione familiare.

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