Separazione e affidamento degli amici a quattro zampe: a chi va il cane?
È un tema a me caro perché anch’io ho un “fido”, che si chiama Burro, e che considero come un figlio. Come il 79% degli italiani che possiede un pet (fonte Ipsos) e che ha instaurato, con lui o lei, un rapporto talmente profondo, sincero e disinteressato che separarsene diventerebbe un dramma. Se non – ancora peggio – oggetto di contesa, un po’ come può succedere, purtroppo, con i figli di genitori che si stanno separando.
Il valore affettivo degli animali domestici per le famiglie
Diventa quindi importante stabilire quale sorte “legale” possa avere l’animale d’affezione in caso di fine della relazione sentimentale o di disgregazione della famiglia.
In altre parole, a chi va fido o micio in caso di separazione, divorzio o cessazione della convivenza?
Cosa dice la legge sull’assegnazione dell’animale domestico in caso di separazione?
La legge purtroppo non dice nulla su questo argomento, anche se i tentativi di disciplinare il collocamento ed il mantenimento dell’animale domestico, in caso di separazione, si sono susseguiti nel tempo, ma rimanendo lettera morta.
Ci sono stati dei progetti di legge, nel 2011 e nel 2013, che ambivano a regolare il tema analogamente a quanto avviene per i figli minori e che peraltro erano apprezzabili perché volevano garantire “la sistemazione migliore inerente il profilo di protezione degli animali” e di assicurare “il maggior benessere” dell’animale domestico, sentiti i coniugi, i figli se presenti e se del caso esperti del comportamento animale.
Tuttavia tali progetti normativi non si sono mai tradotti in legge, a differenza di quanto è successo in paesi europei come la Francia, già nel 2015, la Germania, l’Austria, il Portogallo, la Svizzera e, da ultimo, la Spagna che nel 2022 ha promulgato una legge che obbliga i proprietari degli animali domestici a garantire, anche da separati, il benessere del proprio pet in quanto essere senziente a tutti gli effetti e, quindi, da tutelare. In tale paese è previsto che, nel caso in cui le parti non raggiungano un accordo, il giudice è tenuto a stabilire presso chi, tra i due ex, in base a criteri come la situazione finanziaria la disponibilità di tempo libero, le condizioni abitative, l’animale domestico dovrà essere collocato, fermo l’affido congiunto e fermo il diritto del non collocatario di vedere l’animale in determinati momenti. Proprio come accade per i figli.
Cosa dicono i giudici italiani sull’assegnazione dell’animale domestico in caso di separazione?
La giurisprudenza italiana è variegata e muove da un dato di fatto, ovvero il vuoto normativo sul tema dell’assegnazione o dell’affidamento del pet in caso di crisi familiare.
Pertanto leggiamo sentenze di giudici che, sensibili al tema, trattano la domanda degli ex che si contendono l’affidamento del cane o del gatto e giudici che, invece, enunciano un “non luogo a provvedere” o una dichiarazione di inammissibilità della domanda, in quanto non esiste una norma che li obblighi a decidere sull’affidamento e sul mantenimento dell’animale da compagnia. Queste sentenze riguardano, naturalmente, casi di separazione o divorzio giudiziale o di ricorso giudiziale per fine convivenza.
Diversamente accade nelle ipotesi di soluzione consensuale della crisi familiare, dove gli ex partners raggiungono un accordo su ogni aspetto della separazione, incluso il destino di fido o micio.
Soluzioni consensuali: raggiungere un accordo sul benessere dell’animale
In linea di massima riscontriamo un atteggiamento positivo dei giudici rispetto ad accordi condivisi dagli ex coniugi o dagli ex conviventi sull’argomento pet: in tal caso il giudice si limita a recepire l’accordo, senza entrare nel merito, e ad omologare le condizioni di separazione tra le quali gli ex coniugi hanno pattuito anche il collocamento, i tempi ed il mantenimento dell’animale domestico.
In tal senso si esprimeva, già nel 2011, il Tribunale di Milano che, pur specificando che il giudice non è obbligato ad occuparsi dell’assegnazione degli animali d’affezione all’uno o all’altro coniuge, prendeva atto dell’accordo degli ex partners sull’affido dell’animale da compagnia. Successivamente, nel 2013, sempre il Tribunale di Milano recepiva gli accordi tra i coniugi sul “destino” di un gatto, ritenendoli conformi all’interesse del figlio minore e in particolare sottolineando che “negare al minore la possibilità di continuare a frequentare l’animale da compagnia potrebbe causare un grave pregiudizio al minore stesso”.
In particolare il giudice milanese poneva l’attenzione sul fatto che “nell’attuale ordinamento, anche in conseguenza dell’entrata in vigore della legge di ratifica ed esecuzione della Convenzione europea per la protezione degli animali da compagnia, il sentimento per gli animali ha protezione costituzionale e riconoscimento europeo cosicché deve essere riconosciuto un vero e proprio diritto soggettivo all’animale da compagnia […]. Non essendo l’animale una “cosa” bensì un essere senziente è legittima la facoltà dei coniugi di regolarne la permanenza presso l’una o l’altra abitazione e le modalità che ciascuno deve seguire per il mantenimento dello stesso”.
Tale orientamento è stato fatto proprio anche dal Tribunale di Como che, nel 2016, ha ritenuto non contrarie all’ordine pubblico le clausole della separazione consensuale che disciplinano la frequentazione e la responsabilità degli ex coniugi sull’animale d’affezione, pur precisando che, mentre le condizioni relative al mantenimento dell’animale possono trovare corretta sede dell’accordo di separazione (che sarà poi recepito dalla sentenza) in quanto condizioni economiche, i patti attinenti al rapporto con l’animale dovrebbero essere inserite in accordi stragiudiziali, poiché non è condivisibile parlare di “affidamento” dell’animale alla stessa stregua dei figli minori, in assenza di una legge che parli di affidamento dell’animale da compagnia.
Nello stesso senso si era espresso poco tempo prima il Tribunale di Milano che, nel trattare una controversia relativa al mancato rispetto dei patti conclusi tra ex in ordine al godimento del cane, aveva dichiarato l’inammissibilità della domanda diretta a stabilire l’affidamento, il mantenimento ed i tempi di permanenza dell’animale presso l’uno o l’altro, in quanto tale azione giudiziale non era e non è prevista dalla legge. In altri termini il Tribunale ha affermato che non è possibile equiparare un animale da compagnia ad un figlio minore.
Tuttavia sono state anche pronunciate, in passato, sentenze favorevoli a riconoscere concetti come “’l’affidamento” o il “mantenimento” dell’animale da compagnia.
Così il Tribunale di Foggia nel 2008 e, molto prima, il Tribunale di Pescara nel 2002, avevano sancito che il giudice della separazione può disporre, al momento dell’adozione dei provvedimenti provvisori ed urgenti, che l’animale d’affezione venga affidato ad uno dei coniugi con l’obbligo di averne cura e può stabilire che l’altro abbia il diritto di prenderlo e tenerlo con sé per alcune ore del giorno. Il giudice pugliese, peraltro, prescindendo dall’intestazione formale del cane alla moglie, ne dispose l’affidamento al marito in quanto maggiormente idoneo ad assicurare il miglior sviluppo all’animale.
Sulla stessa linea di pensiero si era collocato il Tribunale di Roma con la sentenza n. 5322 del 2016 che, affrontando il contenzioso tra due ex conviventi, aveva applicato in via analogica la disciplina prevista per i figli minori di una coppia, prescindendo dalla proprietà formale del cane e disponendo l’affido condiviso dell’animale con collocamento alternato tra gli ex per periodi di sei mesi e con diritto di visita del padrone non collocatario per due giorni alla settimana nonché disponendo anche in ordine alle spese di mantenimento.
E ancora il Tribunale di Sciacca, nel 2019, di fronte a due coniugi in fase di separazione che non si erano accordati sulla gestione del cane e del gatto, ha stabilito che l’assegnazione (e non l’affidamento) dell’animale domestico vada attribuita alla parte che assicuri il miglior sviluppo possibile dell’identità del cane o del gatto o in via alternata ad entrambi, a prescindere dalla formale intestazione, tenendo conto del benessere dell’animale. Il giudice siciliano evidenzia la differenza terminologica (assegnazione in luogo di affidamento), dando conto della non equiparabilità tra figli ed animali quanto a regime giuridico e fonda comunque la sua decisione “sul presupposto che il sentimento per gli animali costituisce un valore meritevole di tutela, anche in relazione al benessere dell’animale”.
Tale affermazione, peraltro, si allinea perfettamente alla consapevolezza e al riconoscimento, a livello sovranazionale, dell’”importanza degli animali da compagnia per il contributo che essi forniscono alla qualità della vita e dunque il loro valore per la società” (Convenzione di Strasburgo del 13 novembre 1986 ratificata in Italia con la Legge 4 novembre 2010 n. 201). E ancora, in un passaggio dell’art. 13 del Trattato di Lisbona leggiamo che “l’Unione e gli Stati membri tengono pienamente conto delle esigenze in materia di benessere degli animali in quanto esseri senzienti”.
Tuttavia, non possiamo esimerci dall’evidenziare l’assenza di un orientamento univoco in giurisprudenza ed il conseguente rischio di non ricevere risposta dal giudice in punto di assegnazione del pet conteso tra gli ex.
Quale soluzione in attesa di una legge che disciplini l’assegnazione dell’animale da compagnia in caso di separazione?
Il raggiungimento di un accordo che disciplini assegnazione, tempi di permanenza e contributo di mantenimento del vostro pet in caso di separazione o cessata convivenze è la risposta e la soluzione migliore, purché tenga conto del benessere dell’animale.
Come per ogni altro punto da decidere nel corso di una separazione, anche questo tema può essere oggetto di conflitto e celare scopi che non corrispondono al bisogno reale dell’animale, ovvero al suo benessere.
Mediazione familiare: uno strumento efficace per risolvere le dispute
Quando si è di fronte a conflitti sull’assegnazione dell’animale domestico, la mediazione familiare rappresenta una risorsa importante per evitare che la situazione degeneri. Questo approccio si concentra non solo sul raggiungimento di un accordo pacifico, ma anche sulla tutela dell’interesse primario del nostro amico a 4 zampe. La mediazione familiare offre alle parti un ambiente neutrale in cui discutere delle soluzioni che meglio garantiscono il benessere dell’animale, evitando così l’intervento del giudice che, per mancanza di una normativa chiara, potrebbe non considerare la richiesta.
D’altro canto il mancato accordo sulla gestione dell’animale da compagnia può portare anche a conseguenze paradossali.
Si porta il caso di due ex coniugi che, in sede di separazione, non si erano accordati sulla gestione del cane, formalmente intestato al marito, il quale dopo la separazione si era trasferito all’estero per lavoro, lasciando il cane a casa della ex.
Quest’ultima, non amante dell’animale, si era liberata dello stesso portandolo nel piazzale di un presidio a.s.l. e lasciandolo legato ad un palo, senza avvisare nessuno e men che meno l’ex marito.
Entrambi gli ex coniugi sono stati condannati dalla Suprema Corte per abbandono di animale con una sentenza molto significativa (Cass. pen. 20 novembre 2019 n. 6609) perché oltre a dichiarare la responsabilità penale della ex moglie in quanto autrice materiale del reato, ha dichiarato altresì la responsabilità del marito per dolo (e non per colpa) in quanto, affidando il cane alla moglie (di cui conosceva l’avversione all’animale), aveva accettato il rischio che la stessa lo abbandonasse (come poi in effetti è accaduto).
Ragione in più per occuparsi e raggiungere, in fase di separazione, un accordo sulla gestione dell’animale d’affezione che tuteli il suo benessere e che, soprattutto, renda consapevoli le parti dell’importanza di garantirgli la migliore sistemazione.
Per questo motivo è sempre meglio affidarsi a chi ha competenze specifiche in diritto di famiglia e nella gestione del conflitto, come l’avvocato di famiglia ed il mediatore familiare.
Affrontare una separazione non è mai facile, e la cura per i vostri amici a quattro zampe merita particolare attenzione. Nel mio studio troverai competenza sia in diritto di famiglia che in mediazione, insieme a uno spazio accogliente per te e per il tuo Fido o Felix: lo studio dell’avvocato Anichini è pet friendly!
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