Dal diritto al divorzio al “separorzio” passando per il divorzio breve

Nel nostro ordinamento giuridico la fine di un’unione coniugale deve necessariamente passare dalla separazione personale dei coniugi, una fase di “sospensione” di alcuni dei doveri coniugali che, se protratta ininterrottamente per un certo periodo, autorizza i coniugi o ciascun coniuge a chiedere lo scioglimento del matrimonio o, nei casi di matrimonio celebrato con rito religioso, la cessazione degli effetti civili del matrimonio. In breve, il divorzio.

Il periodo di separazione personale ininterrotta è stato, col tempo, progressivamente ridotto dal nostro legislatore.

Storia del Diritto al Divorzio in Italia

Nel 1970 l’originaria legge sul divorzio consentiva di proporre la domanda solo dopo il decorso di cinque anni dalla comparizione avanti il presidente del Tribunale dei coniugi che si stavano separando. Si concedeva ai coniugi un periodo di riflessione relativamente lungo per ponderare la decisione sul futuro del proprio matrimonio.

Un primo passo verso l’abbreviazione di tale periodo è stato fatto nel 1987 con la legge n. 74 che ha ridimensionato tale periodo riducendolo a tre anni dalla comparizione dei coniugi avanti al giudice della separazione, anche laddove da giudiziale si fosse trasformata in consensuale.

L’introduzione del Divorzio Breve nel 2015

Arriviamo al 2015 e all’introduzione, con la legge n. 55 del 6 maggio 2015, della novità a tutti nota come “divorzio breve” che, oltre ad impattare sensibilmente sui tempi di scioglimento dell’unione coniugale, ha introdotto una distinzione tra chi si è separato consensualmente e chi, non avendo incontrato il consenso dell’altro coniuge, è stato costretto ad instaurare un procedimento giudiziario per ottenere la separazione.

Nel caso di separazione giudiziale è necessario attendere un periodo di dodici mesi dall’udienza presidenziale (ovvero la prima udienza di separazione tenutasi avanti il presidente del tribunale), mentre in caso di separazione consensuale o di accordo di separazione raggiunto in negoziazione assistita o di separazione avanti all’ufficiale di Stato civile sarà sufficiente attendere il periodo di sei mesi.

La Riforma Cartabia e il Separorzio

Approdiamo ai giorni nostri ed in particolare alla Riforma Cartabia che dal 1° marzo 2023 introduce la possibilità di presentare, con un unico ricorso al giudice, sia la domanda di separazione che la domanda di divorzio.

Questa novità legislativa è stata simpaticamente battezzata da noi avvocati come “separorzio” per indicare che con un unico procedimento si può ottenere sia la separazione che, successivamente, il divorzio.

Per sgombrare il campo da facili fraintendimenti è importante precisare che la sentenza di divorzio non si ottiene contemporaneamente alla sentenza di separazione, ma solo a seguito del decorso dei termini previsti dalla legge, ad oggi rimasti invariati, e solo dopo che la sentenza di separazione è diventata definitiva.

In altri termini, se un coniuge propone domanda di separazione e di divorzio nei confronti dell’altro, la domanda di divorzio potrà essere trattata solo dopo che siano decorsi 12 mesi dall’udienza davanti al presidente e sia diventata definitiva la sentenza di separazione. Tale periodo si riduce a sei mesi nel caso di domanda congiunta di separazione e di divorzio.

La Procedura di Separazione e Divorzio nella Riforma Cartabia

Su quest’ultimo punto occorre specificare che la lettera della legge – ovvero l’art. 473 bis n. 49 c.p.c. – non prevede espressamente la possibilità che il cumulo delle domande (di separazione e di divorzio) sia proponibile anche nel caso di procedura consensuale, cioè quando i coniugi concordano sia sulla separazione che sul divorzio.

Tale norma, infatti, ha suscitato notevoli questioni interpretative che hanno indotto la Suprema Corte di Cassazione, su impulso del Tribunale di Treviso, a prendere posizione, ritenendo possibile il cumulo della domanda di separazione e di divorzio anche nelle procedure consensuali (sentenza n. 28272/2023) .

Questa interpretazione determina un’opportunità rilevante in termini di risparmio di risorse processuali (ovvero ci saranno meno cause da decidere) ed in termini di costi e tempi per l’utenza, che sarà avvantaggiata dal fatto di dover incardinare un unico procedimento per giungere alla formalizzazione della fine dell’unione coniugale.

Tuttavia non possiamo esimerci dal rilevare la complessità delle conseguenze di una tale interpretazione, evidenziando soprattutto gli aspetti pratici della scelta di presentare contestualmente domanda di separazione e di divorzio.

Separorzio sì ma attenzione ai possibili scenari | Studio Legale Romina Anichini

Separorzio sì ma attenzione ai possibili scenari

Dunque se, da un lato, le novità della Riforma Cartabia sembrano favorire la scelta di porre fine al matrimonio, attraverso strumenti processuali più celeri e più snelli, dall’altro lato è necessario considerare che, come spesso accade, tra i coniugi vi è chi prende l’iniziativa e chi la subisce.

Gli effetti della Riforma Cartabia sulla procedura di separazione e divorzio

Quindi può accadere che chi è pronto per porre fine all’unione coniugale spinga sull’acceleratore per promuovere un procedimento unico, “prendendo per la gola” l’altro coniuge (che “subisce” la scelta) ed allettandolo con il risparmio dei costi e dei tempi. Può capitare infatti che chi subisce la decisione dell’altro, abbia anche fretta di voltare pagina e si lasci persuadere dalla semplicità della procedura (che verrà descritta più avanti).

I rischi emotivi e pratici di una separazione accelerata

Non è escluso, però, che nel breve volgere dei mesi che intercorrono tra il deposito della domanda congiunta di separazione e di divorzio, lo stesso coniuge (che ha subito la scelta dell’altro) abbia un ripensamento e non intenda più confermare la domanda e le condizioni di divorzio.

D’altro canto e non a caso, come detto all’inizio, il nostro sistema prevede che prima di ottenere il divorzio, si debba ottenere la separazione, che rappresenta una fase in cui gli obblighi coniugali sono “allentati” (è sospeso l’obbligo di coabitazione e di fedeltà), proprio per consentire ai coniugi (che tali restano) di valutare bene la scelta di sciogliere il vincolo coniugale.

Tale scelta ha implicazioni emotive (può essere vissuta come un fallimento), anche religiose (si pensi a chi sceglie di non divorziare perché crede nell’indissolubilità cristiana del matrimonio) e certamente economiche (il coniuge, sia pure separato, mantiene i diritti successori, a meno che la separazione non gli sia stata addebitata); per tali e varie ragioni è possibile un ripensamento.
E non possiamo neanche escludere che il ripensamento sia reciproco e che conduca o alla scelta di restare separati o alla scelta di riconciliarsi.

Le implicazioni economiche della separazione e del divorzio

L’opzione del “separorzio” deve essere valutata bene anche per altre ragioni. Non è remota l’eventualità che tra la proposizione del ricorso congiunto di separazione e di divorzio e la trattazione della domanda di divorzio – che avviene, come detto, solo dopo che siano decorsi i termini di legge e purché la sentenza di separazione sia definitiva – sopraggiungano contingenze che modificano la situazione di fatto tenuta presente dai coniugi al deposito del ricorso congiunto (ad es. la perdita del lavoro del coniuge economicamente più debole o la riduzione delle ore lavorative per la necessità di accudire un familiare).

La coerenza tra accordi di separazione e situazione attuale

In questo caso, il rischio è che l’assetto concordato con il ricorso congiunto di separazione e di divorzio non sia più coerente con la situazione esistente al momento della trattazione della domanda di divorzio e che quindi i coniugi si trovino a dover ridiscutere su questioni che pensavano di avere già risolto in maniera definitiva con il deposito del ricorso congiunto.

Le rinunce economiche del coniuge più debole

Può anche accadere che l’obiettivo di ottenere in tempi brevi il divorzio significhi, per la parte economicamente più debole del rapporto coniugale, rinunciare ad ottenere un trattamento più giusto e più rispondente ai sacrifici e alle scelte fatte durante il matrimonio.

Mi è capitato varie volte di assistere persone che concordavano su tutto “purché si arrivi in fretta al divorzio”, ma a discapito, spesso, del diritto dell’uno ad avere l’assegno divorzile e le correlate spettanze (ad es. quota parte al TFR dell’altro coniuge, pensione di reversibilità) e quindi al prezzo di gravose rinunce.

Sotto questo profilo appare utile ricordare che i diritti del coniuge separato sono ben diversi da quelli del coniuge divorziato.

Mentre, infatti, la separazione non scioglie il vincolo coniugale, lasciando in vita diritti quali l’assistenza materiale che può tradursi in un assegno di mantenimento per il coniuge economicamente più debole, il divorzio recide il vincolo coniugale, facendo residuare, per dovere di solidarietà e solo in presenza di determinati presupposti, il diritto del coniuge economicamente più debole ad un contributo economico se ricorrono esigenze assistenziali e/o compensative (ad esempio laddove il coniuge abbia sacrificato la propria vita professionale per esigenze familiari consentendo invece all’altro di progredire nella carriera).

L’importanza di una consulenza professionale qualificata

Essendo diversi i presupposti, è consigliabile valutare bene la propria posizione e soprattutto affidarsi a professionisti che si occupano quotidianamente di diritto di famiglia e che hanno quindi maturato esperienza e consolidato competenze giuridiche ed extragiuridiche per assistere nel modo migliore e più completo chi sta affrontando una crisi familiare ed è determinato a porre fine al matrimonio.

Rivolgersi a un buon avvocato di famiglia significa poter contare su un supporto qualificato, capace di tutelare al meglio i diritti e gli interessi in gioco.

Quale iter per chiedere il divorzio? | Studio Legale Romina Anichini

Quale iter per chiedere il divorzio?

In questo articolo ci limitiamo a trattare del divorzio, ma vale la pena precisare che la procedura e la documentazione che verranno descritti di seguito sono richiesti anche per la domanda di separazione giudiziale.

Differenze tra divorzio congiunto e giudiziale

Quali sono le principali differenze tra divorzio congiunto e divorzio giudiziale?
Nel Divorzio Congiunto i coniugi propongono unitamente il ricorso per ottenere lo scioglimento del matrimonio, facendosi assistere da uno o da due avvocati (uno per parte).
Nel caso di Divorzio Giudiziale, non essendovi accordo tra i coniugi sul divorzio e/o sulle sue condizioni, chi intende promuovere la domanda dovrà instaurare un vero e proprio giudizio nei confronti dell’altro.

Tempi e costi del procedimento di divorzio

La distinzione corrisponde a tempi più lunghi e ad attività processuale più ampia nel divorzio giudiziale, che si tradurranno in costi e spese legali più alti rispetto a quelli di un divorzio congiunto. Alla proposizione di un ricorso giudiziale, il giudice fisserà la data dell’udienza, che si terrà entro novanta giorni dal deposito del ricorso, come previsto dall’art. 473 bis n. 14 c.p.c. e con il medesimo decreto indicherà all’altro coniuge i termini entro cui dovrà depositare le proprie difese, le conseguenze nel caso di mancata e tempestiva costituzione, la possibilità – ricorrendone i requisiti reddituali – di chiedere il patrocinio a spese dello Stato ed informa altresì entrambi coniugi della possibilità di intraprendere un percorso di mediazione familiare.

Mediazione familiare nel processo di divorzio

L’invito del giudice alle parti a rivolgersi ad un mediatore familiare è possibile in qualsiasi momento della causa di divorzio (lo stesso vale per la separazione) e qualora i coniugi decidano di intraprendere il percorso, il giudice, con il loro consenso, potrà rinviare la decisione sui provvedimenti temporanei ed urgenti che in genere assume, dopo la prima udienza, per dare tutela immediata, ad esempio ai figli o al coniuge che necessita di mezzi economici.

Precisiamo che l’invito alla mediazione familiare non deve essere fatto quando dal ricorso emergono fatti di violenza domestica (o emerge l’esistenza di procedimenti penali in corso o già definiti), né può essere proseguito il percorso di mediazione eventualmente iniziato.

Fase istruttoria e sentenza di divorzio

Laddove non venga raggiunto alcun accordo o laddove comunque non venga o non possa essere intrapreso o proseguito il percorso di mediazione, la causa di divorzio procede snodandosi nella fase istruttoria (se ritenuta necessaria dal giudice: escussione testimoni, ordine di indagini tributarie sul coniuge, ordine di esibizione di documenti, per portare qualche esempio) e poi articolandosi negli atti difensivi finali, fino alla sentenza.

Ricorso congiunto: modalità e tempi

Quando invece i coniugi depositano un ricorso congiunto di divorzio, i tempi e le “modalità” processuali sono molto diversi rispetto a quelli di un ricorso giudiziale.

Nel ricorso congiunto le parti hanno la possibilità di chiedere la trattazione scritta del ricorso, evitando quindi la comparizione personale avanti al Presidente del Tribunale, un po’ come succede nella procedura di negoziazione assistita, dove appunto i coniugi decidono di regolamentare, sotto ogni profilo, la fine della propria relazione attraverso un accordo redatto con l’ausilio dei propri legali (necessariamente uno per parte) e senza dover presenziare in Tribunale.

In mancanza di richiesta delle parti è il Presidente del Tribunale che può, ai sensi di legge, disporre che la trattazione dell’udienza sia scritta, richiedendo alle stesse di produrre, entro l’udienza fissata, delle note scritte in cui dichiarano di confermare di non volersi riconciliare e ribadiscono (o aggiornano) le condizioni di divorzio.

Sentenza di divorzio e annotazione

Dopodiché il collegio, se gli accordi sono conformi all’interesse dei figli, emette sentenza di divorzio (solitamente nel giro di qualche settimana ma i tempi variano da tribunale a tribunale), dichiarando quindi lo scioglimento del matrimonio (o la cessazione degli effetti civili dello stesso, se celebrato con rito religioso) e ordinando alla cancelleria del Tribunale di chiedere all’ufficiale di stato civile del Comune in cui è stato contratto il matrimonio l’annotazione a margine dell’atto di matrimonio.

Tale annotazione viene fatta non prima che la sentenza di divorzio sia diventata definitiva e quindi o decorsi trenta giorni dalla notificazione della stessa all’altro coniuge (e depositata la ricevuta di consegna della notificazione nel fascicolo telematico affinché la cancelleria dia comunicazione al comune competente) o decorsi sei mesi dalla pubblicazione della sentenza. Tale precisazione ha una rilevanza anche pratica per chi è intenzionato a convolare a nuove nozze e deve quindi attendere la definitività della sentenza di divorzio per poter conseguire lo stato libero, necessario per contrarre matrimonio.

Documentazione necessaria per poter chiedere il divorzio

La Riforma Cartabia ha introdotto delle novità anche su questo fronte. Lo scopo della novella legislativa è mettere il giudice davanti ad una produzione documentale il più possibile completa per poter trarre decisioni in materia di mantenimento del coniuge e/o dei figli e di affidamento e collocamento dei figli.

Documenti finanziari richiesti

Per questa ragione, oltre alla sentenza di separazione definitiva e all’estratto per riassunto dell’atto di matrimonio (in calce al quale sarà stata data annotazione della sentenza di separazione), il codice di rito prevede che, in caso di richiesta di contributo economico o comunque in presenza di figli minori (o economicamente non autosufficienti), insieme al ricorso per divorzio, vengano prodotte:

  • le dichiarazioni dei redditi degli ultimi tre anni;
  • la documentazione attestante la titolarità di diritti reali su immobili o su beni mobili registrati (es. autovetture…) o su quote sociali;
  • gli estratti conto dei rapporti bancari e finanziari relativi agli ultimi tre anni.

Quest’ultima richiesta rappresenta una novità che rispecchia perfettamente l’intenzione del legislatore di avere un quadro completo sulla situazione reddituale e finanziaria dei coniugi necessaria al giudice per valutare la congruità dei contributi economici richiesti o necessari.

La documentazione relativa alla situazione reddituale e patrimoniale può non essere prodotta nel caso di divorzio congiunto purché i coniugi non facciano richiesta di trattazione scritta dell’udienza e accettino quindi di comparire personalmente avanti il giudice. In questo caso (e non nel caso di richiesta di trattazione scritta) è sufficiente inserire in ricorso le indicazioni sulle disponibilità reddituali e patrimoniali dell’ultimo triennio nonché degli oneri (ad es. mutui, finanziamenti, canone di locazione) a carico dei coniugi, senza quindi allegare la corrispondente documentazione.

Il piano genitoriale

Altro documento importante è il cosiddetto “piano genitoriale”, la cui allegazione è obbligatoria nel procedimento giudiziale.

Si tratta sostanzialmente dell’illustrazione delle attività, scolastiche e non scolastiche, degli impegni, delle abitudini, anche in tema di frequentazioni e di vacanze, riguardanti il figlio minore dei coniugi. Ciascun genitore deve allegarlo al proprio atto introduttivo (ricorso o comparsa che sia) in modo da fornire al giudice la propria prospettazione sulla vita quotidiana del figlio ed in modo da consentire al giudice, già alla prima udienza, di assumere i provvedimenti temporanei e urgenti che meglio si adattano al pregresso stile di vita del minore e che meglio ne preservino le abitudini.

Considerazioni finali

Affrontare una crisi familiare può essere difficile e disorientante. Con la mia esperienza in diritto di famiglia e in qualità di avvocato di famiglia, posso offrirti il supporto necessario ed essere una guida per aiutarti a trovare la soluzione migliore.

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