Sentiamo parlare di “avvocato divorzista” di “avvocato familiarista” o “matrimonialista”.
Io preferisco parlare di “avvocato di famiglia”.
Innanzitutto perché l’avvocato che si occupa di diritto di famiglia non si occupa solo di divorzi o di matrimoni e sarebbe riduttivo pertanto definirlo “avvocato divorzista o matrimonialista”. Inoltre, un aggettivo non definisce bene il raggio d’azione del professionista quanto il suo oggetto di interesse ovvero, in questo caso, la “famiglia”.
L’avvocato di famiglia è il professionista che si occupa in generale della crisi delle relazioni familiari, non limitandosi alle crisi di coppia coniugale o non coniugale, ma rivolgendosi anche alla tutela dei minori nei casi di negligenza genitoriale o alle conflittualità nell’ambito della famiglia parentale per motivi ereditari. L’avvocato di famiglia si occupa anche di adozione e di tutela legale delle persone fragili (ad es. chi è affetto da una qualsiasi forma di infermità e necessita della nomina di un amministratore di sostegno).
Competenze e attitudini dell’avvocato di famiglia
In tutti questi casi l’avvocato di famiglia si trova davanti una persona che sta attraversando un momento di sofferenza, di frustrazione, di debolezza e che quindi non presenta soltanto un problema giuridicamente rilevante, ma anche una situazione soggettiva estremamente delicata.
Gestione delle crisi familiari, tutela dei minori e delle persone fragili
L’avvocato di famiglia si trova infatti di fronte a chi, a differenza del cliente che vanta un credito o che si lamenta dell’inquilino moroso, presenta una condizione personale che richiede un approccio più profondo in quanto il suo problema legale ha anche ricadute emotive e psicologiche importanti.
Per questo l’avvocato di famiglia deve avere, oltre alle competenze giuridiche, anche un’attitudine speciale. L’avvocato di famiglia deve tener conto del fatto che la relazione in crisi di cui si sta occupando è una relazione familiare che, in quanto tale, richiede un supporto non soltanto legale.
Per questa ragione l’avvocato che si occupa di diritto di famiglia deve avere non soltanto una vasta e completa preparazione giuridica, ma anche una competenza multidisciplinare che lo aiuti a comprendere tutte le sfaccettature non giuridiche della problematica sottopostagli.
Ciò richiede delicatezza, sensibilità ed anche umiltà, soprattutto laddove quanto emerge dall’ascolto del cliente evidenzi l’opportunità di consigliare anche altri tipi di valutazione o di supporto (ad es. lo psicologo, il mediatore familiare, il coordinatore genitoriale).
Questa riflessione suscita ulteriori considerazioni sulle peculiarità dell’avvocato di famiglia e sul fatto che chi si occupa di relazioni familiari in crisi (di coppia, per questioni ereditarie) o di soggetti da tutelare (minori, disabili) debba avere un quid pluris rispetto all’avvocato in generale.
La deontologia dell’avvocato di famiglia
La deontologia è la cornice di regole che il professionista deve rispettare nell’esercizio della sua attività. La violazione di tali regole comporta l’applicazione di sanzioni più o meno gravi da parte di organismi preposti alla loro osservanza.
L’art. 14 del codice deontologico forense prescrive all’avvocato di NON ACCETTARE incarichi se non è in grado di svolgerli con adeguata competenza. E per “adeguata competenza”, con riferimento all’avvocato che si occupa di crisi familiare, si intende non soltanto il possesso di conoscenze giuridiche e di un’etica inappuntabile.
Regole deontologiche specifiche
L’avvocato di famiglia deve anche possedere la capacità individuare l’interesse autentico del cliente, aiutando quest’ultimo a decantarlo da tutte le appendici emotive che lo offuscano e che rischiano di condurlo ad una lite giudiziale estremamente faticosa dal punto di vista psicologico, oltre che costosa (togliendo quindi risorse personali ed economiche a chi in primis le merita come i figli).
Il lavoro dell’avvocato di famiglia deve essere pertanto orientato a identificare, sotto le manifestazioni emotive, i reali bisogni di chi è coinvolto nella relazione familiare e a raggiungere soluzioni condivise del conflitto che scongiurino il più possibile (e quando possibile) la fase giudiziale, attenuando così l’impatto negativo della crisi familiare sui soggetti più deboli, quali i figli.
Pertanto è compito dell’avvocato di famiglia raggiungere il massimo equilibrio tra il dovere di fedeltà al cliente (art. 10 del codice deontologico), l’indipendenza nell’esercizio della sua professione (art. 9 del codice deontologico) ed il dovere di esercitare la professione anche a tutela degli altri interessi partecipi della relazione familiare ovvero l’interesse dei figli minori, se ve ne siano.
Da questo punto di vista si può notare che anche il profilo deontologico dell’avvocato di famiglia si differenzia rispetto a quello dell’avvocato in generale, rivelandosi più complesso nella misura in cui non è soltanto l’interesse individuale (se non individualistico) del suo cliente a fare da faro nell’espletamento dell’incarico legale, ma è un insieme di posizioni cui sono sottesi bisogni diversi che l’avvocato di famiglia con le sue competenze multidisciplinari deve saper cogliere, individuare e ben rappresentare al suo cliente (spesso “preso” o concentrato su altro nel momento della crisi).
Per questo l’avvocato di famiglia deve prestare attenzione a non lasciarsi travolgere dai sentimenti di rabbia e dalla voglia di vendetta espressi dal cliente, restando indipendente ed autonomo nella scelta della strategia di difesa e delle relative modalità di estrinsecazione.
L’avvocato di famiglia non deve alimentare il conflitto e se mai deve ricondurlo ad una forma gestibile in modo da poter individuare nel confronto con l’altra parte i reali bisogni ed interessi in gioco.
Il Ruolo preventivo e sociale dell’avvocato di famiglia
In sintesi l’avvocato di famiglia deve lavorare mantenendo la propria autonomia e indipendenza professionale nella fedeltà al mandato conferitogli dal cliente, ma con un’obiettività ed un approccio etico tesi a perseguire un interesse che potremmo definire “superiore”, l’interesse alla cura della relazione familiare.
In questo senso l’avvocato di famiglia svolge una funzione sociale perché non circoscrive il suo sguardo e la sua azione al perimetro disegnato dal suo cliente, ma va oltre spronandolo ad approfondire le sue reali esigenze, dopo avere accolto la sua sofferenza e la delusione, per portarlo a riflettere sulla necessità di preservare la relazione familiare e di tutelare quindi anche l’interesse di chi nell’imperversare di sentimenti di frustrazione, rabbia e rancore non ha voce in quel momento, come i figli.
Tale funzione sociale è del resto riflessa dalle stesse norme deontologiche laddove prescrivono che il mandato ricevuto dal cliente deve essere espletato nel rispetto del rilievo costituzionale e sociale della difesa. Ed è naturale che la difesa del genitore debba riflettere quella dei propri figli.
Contemporaneamente l’avvocato di famiglia svolge anche una funzione preventiva perché se il conflitto è stato ben gestito ed ha condotto ad una soluzione ponderata e condivisa, previene ulteriore contenzioso giudiziale, promuovendo la stabilità degli accordi nell’interesse di quella famiglia, sia pure divisa, ma anche nell’interesse della collettività (che non dovrà sostenere i costi sociali dell’ulteriore conflittualità).
Sotto questo profilo è significativo quanto espresso dal Parlamento Europeo nella risoluzione del 23 marzo 2006 quando ha attribuito alla professione dell’avvocato il valore precipuo di “garantire la qualità dei servizi a beneficio dei clienti e della società in generale e di salvaguardare l’interesse pubblico”.
In una significativa ordinanza del 2016 un illuminato giudice del Tribunale di Milano ha riconosciuto l’avvocato come parte del “servizio pubblico di Giustizia” e come professionista che ha “non solo il dovere ma invero l’obbligo di svolgere un ruolo protettivo del minore, arginando il conflitto invece che alimentarlo” (dr. Giuseppe Buffone, ordinanza del 23.03.2016).
Ciò richiama quanto raccomandato nelle Linee Guida del Consiglio d’Europa sulla Giustizia a misura di minore dove è chiaramente indicata la necessità che in tutti i procedimenti giudiziari i minori siano protetti da eventuali pregiudizi come intimidazioni rappresaglie vittimizzazione secondaria ed in generale ogni genere di strumentalizzazione del minore, indicazione che non può essere ignorata dall’avvocato che si occupa di diritto di famiglia.
Approfondendo la tematica della deontologia dell’avvocato di famiglia è corretto richiamare alcune norme del codice deontologico forense che definiscono ancor meglio le sue peculiarità.
L’art. 56 del codice deontologico VIETA all’avvocato del genitore di ascoltare o di avere qualsiasi forma di contatto con il figlio minore sulle circostanze relative alle controversie familiari o minorili, manifestando quindi il chiaro intento di proteggere il minore da qualsiasi tipo di condizionamento che naturalmente subirebbe in un simile frangente.
L’art. 68 ultimo comma del codice deontologico VIETA inoltre all’avvocato che ha assistito il minore in una controversia familiare, di prestare assistenza in favore di uno dei genitori in controversie successive della stessa natura.
Così come è vietato, senza alcun limite di tempo, assumere incarico da uno dei coniugi o dei conviventi congiuntamente assistiti in precedenza in controversie successive sorte tra loro, norma che presume in via assoluta la sussistenza di un conflitto di interesse e la conseguente incompatibilità dell’avvocato di famiglia rispetto al coniuge già assistito, del quale conosce informazioni che, se utilizzate, potrebbero arrecare gravi danni, costituendo peraltro una condotta sleale.
Il divieto di assumere incarichi in favore di uno dei coniugi o conviventi già assistito in precedenza ha carattere assoluto e permanente a differenza del divieto di assumere incarichi contro la parte già assistita in una controversia non familiare, divieto che ha durata biennale.
Questa differenza di trattamento specifica in maniera significativa la particolare posizione dell’avvocato di famiglia rispetto all’avvocato che non si occupa della materia familiare, sottolineandone i limiti nell’esercizio della propria attività e rendendo particolarmente rigorosa l’osservanza dei principi di lealtà, indipendenza e autonomia intellettuale.
In conclusione, si può sottolineare che chi sceglie di esercitare la professione forense nell’ambito prevalente o esclusivo del diritto di famiglia deve seguire ancor più severamente le regole deontologiche, avendo riguardo ai particolari interessi che attraverso la loro osservanza devono essere tutelati, tra cui l’interesse del minore.
È chiaro che questa considerazione dovrebbe aiutare anche l’utenza nella scelta del professionista, orientandola verso chi, per esperienza, formazione e competenze acquisite nel tempo, sia in grado di garantire assistenza legale mirata continua e diretta, ma anche capacità di consigliare in maniera obiettiva e razionale, oltre l’onda emotiva del momento di chi attraversa la crisi in famiglia.
Quanto costa un avvocato di famiglia?
Non esiste una risposta univoca perché ogni caso è particolare e richiede assistenza specifica e come tale variabile, con conseguente naturale ricaduta sui compensi dovuti al professionista.
Determinazione dei costi
Esistono i parametri ministeriali disciplinati dal DM 55/2014 recante: “Determinazione dei parametri per la liquidazione dei compensi per la professione forense ai sensi dell’art. 13 comma 6 della legge 31 dicembre 2012 n. 247” aggiornati al D.M. n. 147 del 13/08/2022 che definiscono un range nell’ambito del quale il professionista può fissare il suo compenso, che non può essere inferiore al valore minimo dei parametri stabiliti per cause di valore indeterminabile, come quelle in esame.
Ciò non impedisce al professionista di concordare liberamente i compensi con il cliente (art. 25 codice deontologico): in tal caso l’accordo dovrà essere scritto ed i compensi non dovranno comunque essere sproporzionati rispetto all’attività da svolgere.
L’indicazione che ci si sente di dare per la valutazione della congruità di un preventivo – che il cliente ha sempre il diritto di pretendere dall’avvocato – è considerare il complesso lavoro che l’avvocato di famiglia è chiamato a fare e che non si limita né, anzi, deve limitarsi ad essere la traduzione letterale delle volontà del cliente in un atto giudiziario.
Come ampiamente scritto nei paragrafi precedenti, l’avvocato di famiglia è chiamato a svolgere un lavoro più profondo e più ampio con il cliente, che può richiedere tanti incontri e varie sessioni telefoniche, che può prevedere la formulazione di diverse ipotesi di soluzione o la necessità di testarle con l’altra parte per verificarne l’efficacia e la potenziale tenuta anche dopo la separazione.
L’analisi di una controversia familiare può richiedere lo studio della giurisprudenza per capire come sono orientati a decidere i giudici su casi analoghi a quello sottoposto dal cliente, ma anche l’esame di copiosa documentazione (basti pensare alle controversie ereditarie) che può essere anche complicata da comprendere o richiedere addirittura il supporto tecnico di altre figure professionali (es. un commercialista o un geometra) che avranno un costo distinto da quello dell’avvocato, spesso necessario da sostenere per valutare le proprie ragioni e capire se sia opportuno o meno affrontare una lite giudiziale.
Anche il confronto con altri professionisti rappresenta per l’avvocato di famiglia un’attività importante, perché dalla interazione sinergica con altre figure professionali deriva una prestazione completa e mirata, precipuamente focalizzata sul bisogno del cliente.
Pertanto il costo dell’avvocato di famiglia non è determinabile a priori e non è fisso perché dipende dalle attività che in concreto saranno necessarie nel caso sottoposto dal cliente.
La predisposizione di un preventivo sarà possibile solo dopo la conoscenza del caso e la consapevolezza, anche da parte del cliente, delle attività che saranno necessarie per rispondere al suo bisogno.
Come scegliere l’avvocato di famiglia?
A mio parere anche l’utente che apparentemente non presenta particolari criticità deve essere specificamente seguito dall’avvocato di famiglia, il quale può rilevare questioni da discutere cui il cliente non aveva prestato attenzione e che probabilmente emergerebbero in futuro o proporre soluzioni diverse e maggiormente funzionali al caso in esame. In questo senso l’avvocato di famiglia svolge anche una funzione preventiva.
In conclusione chi propone tariffe fisse per una controversia familiare fornirà di conseguenza un servizio standardizzato e necessariamente “basico”, senza alcun riguardo alla specificità del caso e giungerà a dare una prestazione parziale e difficilmente soddisfacente per il cliente.
Per questa ragione il consiglio è affidarsi ad un professionista specificamente competente in diritto di famiglia che ascolti con attenzione il caso portato dal cliente e che, sulla base delle peculiarità e delle probabili attività necessarie per quel caso, fornisca una protezione “su misura” ed un preventivo di costi coerente rispetto a tali attività.